giovedì 5 febbraio 2015

Gomorra. La serie

Lo so che arrivo tardi, ma meglio tardi che mai, e poi non ho fretta. Ho pure aspettato la sesta puntata (e non sono tante, dodici in tutto) prima di decidere di scriverci un post. Perché volevo essere sicura. Sicura che “Gomorra. La serie” mi piacesse.
Non sono una fan di Roberto Saviano, anzi: il suo libro l’ho letto a fatica, e il film l’ho guardato perché provo un’irresistibile attrazione fisica e intellettuale per Tony Servillo, lo confesso.
Invece “Gomorra. La serie”, ispirata al bestseller di Saviano e da lui ideata, diretta da Stefano Sollima, Francesca Comencini e Claudio Cupellini, attualmente in onda su Rai3 il sabato sera alle 22.00, è super!
Per questi dieci motivi che ho scritto in ordine casuale.
1. Per la fotografia che è livida, cupa, buia, e ti fa stringere lo stomaco.
2. Per la musica che devi ascoltare mentre corri, quando il cuore già ti pulsa di brutto.
3. Per i dialoghi che sono perfetti al punto che ti sembra di essere lì nascosta ad ascoltare cosa si stanno dicendo.
4. Per la scelta di usare il dialetto napoletano come lingua ufficiale. E, puntata dopo puntata, scoprire che inizi anche un po’ a capirlo (ci sono i sottotitoli in italiano…) e che ti piace perché è sorprendentemente esaustivo ed espressivo.
5. Per i personaggi che sono intensi ed evolvono psicologicamente nel corso della storia, così ti sorprendono e ti piacciono di più.
6. Per gli attori che sono tutti bravissimi. Salvatore Esposito che interpreta Genny Savastano, il figlio del boss, che all’inizio è solo un ciccione insicuro e pauroso e che poi, dopo l’allucinante viaggio in Honduras voluto da “mammà”, se ne torna a Napoli furibondo e fuori di testa, coi capelli da punk, dimagrito, cattivissimo e con terribili idee chiare in testa. Marco D’Amore che interpreta Ciro, il tuttofare del boss che ci metti poco a capire che se fosse nato in un altro posto, potrebbe essere un bravo ragazzo, sveglio, intelligente, magari laureato, certamente capace di riuscire in qualunque cosa e forse te ne saresti pure innamorata. Maria Pia Calzone che è Donna Imma Savastano, la mamma che nessuno vorrebbe avere, gelida, rigida, spietata, col sopracciglio alzato, e che vive in una casa da sceicco psicopatico. E Fortunato Cerlino, ossia Pietro Savastano, il boss che finisce in carcere, incazzato nero (anzi grigio, perché è il grigio, assolutamente il grigio, il suo colore) perché si accorge che la situazione fuori gli sta sfuggendo di mano.
7. Per il ritmo della narrazione che è avvincente, incalzante, sempre teso.
8. Per il tono della narrazione che è oggettivo e non cede a facili, inutili e falsi moralismi.
9. Perché non ci sono i buoni e non ne senti la mancanza, e perché probabilmente non ci sarà il lieto fine. Ma questo ancora non lo so.
10. Perché per una volta io e C. siamo d’accordo. E non capita spesso.


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