martedì 2 dicembre 2014

David Bowie is

Nella mia testa, nelle mie orecchie e nella mia vita David Bowie c’è sempre stato. 


All’inizio c’era Ziggy Stardust.



Me lo ricordo perfettamente, anche se C non ci crede. Erano i primi anni Settanta. Ero piccola. Forse fu mio zio che me lo fece ascoltare o vedere alla tele, di domenica, quando veniva da noi. Forse lo vidi per caso. Ciò che è certo è che i miei genitori non lo conoscevano.
A me piaceva Ziggy Stardust. In modo strano, ma mi piaceva. Mi faceva anche paura: non capivo se era un maschio o una femmina, con quei capelli arancioni uguali a quelli di mio figlio solo che mio figlio non se li tinge, il trucco coloratissimo, il viso glabro e pallido, il corpo magrissimo, i vestiti assurdi, gli occhi strani, i denti aguzzi. Ziggy, l’alieno, mi faceva vibrare la pancia di repulsione e attrazione.


Poi venne Halloween Jack e "Rebel Rebel", e questa sono sicura che me la fece ascoltare mio zio perché la suona ancora.


Poi ci fu il film di fantascienza “L’uomo che cadde sulla Terra”.
Non so con chi lo vidi, sicuramente fu per caso, e mi colpì, lasciandomi in uno stato d’ansia forte.


Dopo qualche anno ci fu un altro film:  “Christiane F. – Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino”. Non ricordo se lo vidi a casa o a scuola – erano gli inizi degli anni Ottanta e facevo le medie - ma ricordo lo shock e la scena del concerto e Bowie che canta “Heroes”.


Poi sono arrivate “Absolute beginners”, “China Girl”, “Blue Jean”, “Under Pressure”, “Let’s Dance”, “Ashes to ashes”, "This is not America" e tutte le altre … facevo il liceo, la paninara e non mi piacevo.


Poi ci fu il concerto (a Mantova? A Reggio Emilia? A Bologna? non ricordo…) che mannaggia terminò a trequarti d’ora dall’inizio perché Bowie aveva la laringite, ma “Heroes” riuscì a farla lo stesso e io piangevo da sola su una collinetta, lontanissima dal palco.

Poi ci sono questi ultimi anni e tutte le volte che con C traduciamo ai bambini “Space Oddity” e immaginiamo cosa succede a Major Tom dopo che dice a sua moglie che la ama tanto, e loro ascoltano zitti.

E infine c’è l’altro giorno. Quando sono andata al cinema a vedermi il documentario di Hamish Hamilton  sulla mostra evento "David Bowie is" (organizzata dall’Albert and Victoria Museum di Londra, sta girando il mondo, purtroppo non prevede tappe italiane, ma nel 2015 sarà a Parigi e magari ci faccio un salto).


David Bowie is. David Bowie é. Così, senza puntini di sospensione, senza punto interrogativo e quindi senza risposta perché risposta non può esserci.
Bowie è un mare di cose contemporaneamente: è un cantante e musicista (alla mostra sono esposti i testi delle sue canzoni scritti a mano con bella calligrafia tonda, molto femminile); è un artista che dipinge e disegna in modo sorprendente (belli i bozzetti e lo storyboard del film che Bowie avrebbe voluto trarre dall’album “Diamond Dogs”); è un attore versatile; è un tipo alla moda che ama la moda; è bello; è brutto; è estremo; è libero; è creativo; è coraggioso; è sposato da anni con la stessa donna; è gay, è bisessuale, è etero; è un individualista radicale; è riservato; è colto; è depresso; è snob; è sorprendente; è elegante; è un bluff; è un genio… 


PS: nel documentario c’è un filmato di repertorio con Bowie che racconta del software che ideò per superare le crisi creative. Bowie in crisi creativa? Suona male, è vero, ma, quando andava in crisi, lui faceva così: inseriva nel computer tutte le frasi che gli venivano in mente, poi la macchina le scomponeva e le rimetteva insieme casualmente. Le nuove frasi che si formavano gli sollecitavano la creatività senza bisogno di drogarsi. Mi piace.

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